lunedì 19 dicembre 2011

Fondi d'investimento


Concedersi un'analisi o fors'anche una psicoterapia psicoanalitica significa fare un sacrificio per il proprio benessere. Verrebbe da dire che è un po' come stare a dieta dimagrante per certi versi...
Di fatto si rinuncia a qualcosa ma si investe in qualcos'altro.

Si rinuncia al tempo da poter trascorrere in palestra, o magari al cinema nei ritagli di giornata o di serata. L'analisi spesso dà la sensazione di occupare spazio, tanto spazio. Questa sensazione c'è principalmente quando si è all'inizio del trattamento o esso viene come proposta o semplicemente ci si comincia a pensare. Non si può negare che sia vero; cioè questo senso di “invasione” che si sente nella propria vita, non è poi così campato in aria. Il tempo e lo spazio che la seduta occupa dentro è immenso, perché sono tempo e spazio dedicati a sé stesso. Ciò ha un significato diverso per ognuno a seconda della stima che si ha di sé e molto spesso se questa stima è bassa, se nel proprio profondo  si sente di meritare poco, c'è la tendenza a far passare l'analisi sempre in secondo piano con motivazioni del tipo: “Si ma io vorrei anche vivere ogni tanto, godermi un po' di leggerezza ...”.  
Il motivo non è solamente questo ovviamente, ma sento di poter dire che è un vissuto inconscio abbastanza importante e frequente. 

Si spende del denaro che andrebbe forse a coprire spese importanti: affitto, mutuo, interventi medici specialistici, la spesa di tutti i giorni etc.
Anche qui il concetto di im-portanza, e cioè della capacità che ha qualcosa di portare qualcos'altro dentro di noi, prende forma attorno alla persona che decide come spendere. 
Il concetto di cura psichica, senza volersi avventurare troppo in quello di psicoanalisi, resta ancora molto difficile nella nostra cultura e dover pensare di prendersi cura di sé attraverso il pensiero stesso, sembra un po' difficile da incastrare con la quotidianità concreta che siamo portati a vivere. Per questo un'emergenza specialistica di qualsiasi altro tipo porta dentro dei benefici, ma la cura (nel senso di attenzione!) del proprio pensiero viene comunque messa in secondo piano.

Si mette in gioco, più di ogni altra cosa, la propria affettività, il proprio modo di porsi nei confronti dell'altro, secondo quelli che sono stati i modelli appresi dalla propria famiglia e nel corso della vita a seguire. Questo elemento, come detto, è forse tra i più importanti non solo rispetto a quello di cui stiamo parlando, ma rispetto all'analisi in generale, come potremmo aver modi di vedere anche in altri post. Relazionarsi nell'analisi, vuol dire, brevemente, mettere in discussione quei modelli, con la fatica e l'angoscia che ne deriva, visto che ci si è impiegato tanto e tanto tempo per metterli a punto! 
Ecco perché l'analista sembra sempre portato a pensare che la vera fatica stia principalmente  nell'investimento affettivo: il tempo o il prezzo impiegati nell'analisi rispetto a quello che si è versato in tanti anni di pene e di angoscia, non vuol essere rivissuto così a cuor leggero.

C'è poi il dato di realtà, con cui analista e paziente, a mio parere, non possono non confrontarsi.

Accade spesso però che la realtà dell’analista sia quella di avere a che fare con una persona che al 90% delle volte è una persona che ha delle difficoltà che vanno opportunamente affrontate, mentre la realtà del paziente è quella di avere a che fare con qualcuno che vuol occuparsi di quelle difficoltà dando ad egli stesso l’idea che può farcela. Riuscire a raggiungere un compromesso su questo vuol dire poter intraprendere un’analisi fruttuosa, ma, perché avvenga, è necessario, come disse qualcuno, che almeno uno dei due abbia già fatto un’analisi.

mercoledì 6 aprile 2011

La durata di un'analisi

Diventa sempre più difficile far passare il significato di analisi alle persone.
La velocità che ci serve per vivere non è la stessa che poteva esserci qualche decennio fa.
Tutto ha un significato affiancato al concetto di velocità; dalla propria automobile, a Internet al modo in cui ci si propone nel mondo del lavoro e perfino, a volte, nella conquista della propria tranquillità affettiva.


L'analisi per definizione sta all'opposto della sintesi. Questo vuol dire che per fare una sintesi ci si impegna perché ciò avvenga nei tempi e nei modi più ristretti possibile, mentre, per fare un'analisi, più tempo e maggiore è l'attenzione che ci si mette e meglio viene!
Molte persone si spaventano, nel momento in cui si propone loro di fare una psicoanalisi e restano pietrificate nello sguardo e nel pensiero, se non per poca conoscenza della questione, per quello che può comportare da un punto di vista economico (si parla di economia di tempo ovviamente!).


Vorrei poter rassicurare chiunque si imbatta in una simile situazione, che l'analisi ha un inizio e una fine, ma ha bisogno necessariamente di tempi che non sono troppo brevi né calcolabili. Questo perché è facile immaginare a come si è ora, diciamo all'età di 40 anni ad esempio, ma non è altrettanto facile poter pensare che quei 40 anni di vita abbiano contribuito, con un susseguirsi di esperienze quotidiane, a renderci tali come siamo.
L'analisi, nei suoi tempi dà un'esperienza unica alla persona, attraverso un'unica relazione, quella con il proprio analista, che "incarna" e "rivisita" il senso di tutte le altre relazioni ed esperienze fondamentali della propria vita. Per questo i tempi sono sempre più lunghi di quanto ci si aspetti!


Se si volesse fare una media sulla durata di un percorso analitico (e me ne guardo dal sottoscrivere tale affermazione con troppa sicurezza!), la si potrebbe inquadrare tra i 6 e i 10 anni, mese più mese meno ...
Ma questo servirebbe a poco se non a creare delle false aspettative e a condizionarle con inevitabile perdita di tempo. Il mio dato ha per questo più un valore di cronaca che di regola.
Alla base del discorso credo che sia fondamentale ricordare che ognuno di noi ha i suoi tempi e i propri criteri di velocità.

giovedì 24 marzo 2011

L'interpretazione dei sogni

Interpretare un sogno, diversamente da come si crede, è un lavoro molto complesso ma soprattutto particolare. Sicuramente non è cosa da fare su due piedi come spesso ci si richiede, ma d'altra parte la poca informazione che c'è sull'argomento giustifica certe aspettative.


Vediamo che se il dare un significato ad un sogno non è cosa possibile, è perché il sogno ha un senso legato a tante condizioni. Ha un senso a seconda del motivo che ci spinge a raccontarlo, a seconda del momento in cui lo si racconta, ma anche a seconda della persona cui lo si confida.
Esiste sicuramente un simbolismo, un insieme di codici legati ai sogni che permette di "decifrarli" in modo molto generico, ma mi sento di dire tranquillamente, che riuscire a dare un senso ad un sogno durante una (o più!) sedute di analisi non è paragonabile lontanamente a quella che può essere un'interpretazione basata sul simbolismo.


Nella relazione che si stabilisce con il proprio analista durante l'analisi, si ripropongono la maggior parte dei nostri aspetti consci e inconsci; l'analista stesso ci aiuta a vederli laddove noi non riusciamo spontaneamente  ed in virtù di questo, i nostri sogni hanno lì, NELLA SEDUTA DI ANALISI, un valore che non riuscirebbero ad avere in un'altra situazione proprio perché viene messo in gioco il nostro "sentire" in modo più ampio.

lunedì 21 marzo 2011

Ai tempi di Freud...

Ai tempi di Freud l'analisi non era la stessa di adesso.
La frequenza delle sedute era di gran lunga superiore; a volte tale da coprire l'intero arco della settimana. Un paziente di Freud faceva una seduta al giorno ad eccezione della domenica, ma di fatto l'analisi, nel totale durava molto meno.
Attualmente un'analisi di norma può definirsi tale se si effettua a quattro sedute settimanali di 45 o 50 minuti, a seconda dell'analista e difficilmente dura meno di sei anni.

giovedì 17 marzo 2011

Farmaci

Un pensiero dopo la bella testimonianza di Luigi.
Spesso ho sentito, e soprattutto letto, di persone che davanti alla possibilità di arginare la propria angoscia o la propria ansia, si sono affidate a terapie farmacologiche piuttosto che orientarsi verso un'analisi.
Personalmente credo che non si possa trattare di scelta in uno o nell'altro senso.
Una terapia farmacologica ha lo scopo di estinguere il sintomo in questione agendo a livello chimico sull'organismo; l'analisi si propone di aiutare la persona a conoscersi e secondo tale principio anche ad accettare i propri limiti, facendo in modo che stiano in armonia con la quotidianità.
E' vero che facendo una buona analisi si arriva anche ad estinguere certi sintomi, ma penso sia importante sottolineare che lo scopo che essa ha non è questo.
A rendere fede  credo possa essere proprio il fatto che, in alcuni casi, diventa necessario utilizzare dei farmaci per riuscire a fare un'analisi; l'integrazione delle due cose diventa quindi utile ad aiutare chi ha un forte disturbo del pensiero.

Primo post

Sarebbe bello e stimolante se si riuscisse a porre spontaneamente delle domande sull'argomento, da parte dei partecipanti, dandoci poi noi tutti la possibilità di risponderci e di confrontarci nelle risposte.
Ma immagino anche che forse, per un blog appena aperto, potrebbe essere troppo pretenzioso.
Penso così che possa essere utile iniziare ponendo una domanda io stesso senza sbilanciarmi e restando molto sul "generico" cercando così, come è intento del blog, di andare a cogliere quello che può essere il luogo comune, ma anche il pensiero comune.
Cosa pensate quando si parla di psicoanalisi o più semplicemente di analisi?

Dubbi

Nell’antica Grecia, la sospensione del giudizio, davanti al dato empirico, era definita Epoché (ἐποχή). Non dare per scontato ciò che sem...